Crediamo che la situazione
nazionale, regionale e locale, abbiano parecchie cose in comune:
- comune è la crisi economica, finanziaria e sociale,
- comune è la stanchezza della gente verso la vecchia politica ed il tentativo di imboccare strade nuove,
- comuni sono i segnali, contraddittori e ambigui che arrivano dai “palazzi”,
- comune è, infine, la necessità e l’urgenza di avviare esperienze di governo, coerenti sul terreno del rinnovamento e della capacità di dare risposte credibili alla crisi sociale nel rispetto dei vincoli finanziari.
1 – La crisi è dovuta al
protrarsi di una gestione allegra della finanza pubblica, in un
contesto in cui si andava ristrutturando l’economia globale, con
inevitabili conseguenze economiche e finanziarie a livello
planetario. In questa situazione, maturata in particolare
nell’ultimo decennio, mentre i paesi del nord Europa facevano i
conti in casa e rimettendo a posto le finanze pubbliche, nei paesi
mediterranei, del sud Europa, si continuava a fare le cicale, a
vivere al di sopra delle possibilità, a sostenere costi della
politica intollerabili (organi e spese inutili o eccessive per
alimentare i clientes), sulla base di un patto scelerato che
consentiva alla classe dirigente di scialacquare ed alla maggior
parte dei cittadini di arrangiarsi.
Intanto a livello nazionale, regionale
e locale, gonfia il debito e con esso le difficoltà a coprirlo, col
gioco perverso dello spread , di una contrazione dei redditi e dei
consumi, di un aumento dell’imposizione a cui non corrisponde un
proporzionato aumento dei ricavi, con dinamiche complessive che si
mangiano tutti sacrifici fatti a scapito dei ceti più umili.
A tutti i livelli a pagare sono le
imprese che licenziano, le società e i servizi pubblici che
chiudono, i lavoratori licenziati, i cittadini che si ritrovano senza
assistenza o debbono pagarsela ridimenzionando il tenore e la
qualità di vita.
2 – Alla fine tutti
comprendono che la strada da intraprendere non è quella dell’aumento
della pressione fiscale e contributiva, che finisce per deprimere
l’economia, ma quella del taglio di sprechi e privilegi, di
inefficienze e parassitismi, a partire da quelli che hanno fallito e
che ci hanno portato in questa situazione.
E’ questo il sentimento comune in
cui matura il più grosso distacco tra cittadini e politici, elettori
e partiti, della storia della repubblica. A votare ormai va
meno del 50% degli aventi diritto, di questi quasi 1/3, persa ogni
speranza nella buona politica, nell’alternanza fra destra e
sinistra, si rivolge verso l’antipolitica.
Questo è successo il Sicilia sia alle
regionali che alle politiche, questo, per molti versi, era successo
alle comunali, dove il mancato raggiungimento del quorum dovuto alla
proliferazione di liste, unito al non voto ha tagliato fuori dalla
rappresentanza oltre il 50% degli aventi diritto al voto.
3 - A tutti i livelli c’è
stato un profondo rinnovamento della rappresentanza, senza che questo
abbia prodotto risultati apprezzabili, non bastano facce nuove,
servono idee nuove e gambe forti su cui farle camminare!
I segnali che vengono dai palazzi sono
contraddittori e ambigui, a partire dal PD, l’unico partito a cui
continuiamo a guardare con interesse solo perché con le primarie ha
dato qualche segnale di volere mettere seriamente in discussione le
logiche di una politica autoreferenziale.
Purtroppo lo stesso partito che ha visto l’apparato
(che difende il finanziamento pubblico) sbarrare la strada a quel
Renzi che ci avrebbe evitato il pantano in cui ci ritroviamo (il
sondaggio Demos & Pi, di dicembre 2012, dava Renzi al 61%, Grillo
al 28 e Berlusconi al20).
Se a livello nazionale chi ha
avuto una vittoria di Pirro, fa finta di ignorare il fatto che al
senato non ci sono condizioni per un governo di legislatura, si
ostina a proporre un elenco irrealizzabile di punti (8) per
ridimenzionarli solo dopo aver ricevuto ripetutamente la porta in
faccia , lasciando comunque alla fine ciò che la gente (77%)
vorrebbe all’inizio (la riforma elettorale ed il taglio del
finanziamento ai partiti); a livello regionale
chi si era precipitato a convocare elezioni provinciali per evitare
la riduzione nazionale, si vede costretto ad abolire le province, nel
tentativo maldestro di salvare la poltrona;
a livello locale chi è uscito dalla porta
rientra dalla finestra, garantendo i numeri per l’approvazione di
un bilancio irricevibile, che comunque consentirà a tutti di restare
in carica, di tirare a campare.
Un ceto politico che ha fallito si
ostina a non mollare l’osso, in parte facendo buon viso a cattivo
gioco, ignorando segnali sempre più forti che arrivano dalle urne,
in parte interpretando il “calati iuncu ca passa la china”,
convinto che si possa tornare, come prima e più di prima, alla spesa
facile: basta ridimensionare quel mastino della Merkel!
La cosa più
inquietante è che a pensare all’orco finanziario non sono solo
fantasiosi politici che promettono la restituzione dell’IMU o il
salario garantito per tutti, ma la maggior parte della gente che, non
potendo più votare quello che ti fa il favore, vota per chi vende
favole.
4 – Lo
dicevamo già qualche anno fa, lo ripetiamo oggi con maggiore
convinzione, con l’amarezza delle occasioni perdute, del fatto che
a pagare sono sempre gli ultimi, la povera gente: siamo al capolinea!
Serve un esame di coscienza collettivo:
alla cattiva politica non si può rispondere con le barzellette, ci
vuole la buona politica, gente seria, competente, d’esperienza, di
grande dirittura morale, che sente forte il senso di responsabilità!
Serve, per dirla con Papa Francesco, chi concepisce il potere
come servizio non come arbitrio o privilegio!
Sapendo che si tornerà a votare, al
più tardi, nella primavera del prossimo anno, a Roma serve un
governo che possa raccogliere il consenso di Monti di Grillo e forse
anche di Maroni e faccia quello che si può fare in questo periodo.
Un governo che sfidi Grillo a partire da una legge elettorale che
ancori l’eletto al territorio, da un finanziamento ai partiti
legato alla volontaria contribuzione dei cittadini, che sfidi
Berlusconi proponendo l’eliminazione dell’IMU sulla prima casa
per le fasce deboli e l’aumento sulla seconda e terza casa,
l’eliminazione di tasse e contributi per 5 anni per i nuovi
assunti, che ci riporti alle urne spezzando i pifferi degli
incantatori di serpenti, che sfidi la Lega sul terreno di un
federalismo che faccia assumere ad ognuno responsabilità precise.
In Sicilia serve un governo:
che recepisca , subito e con effetto retroattivo , la norma, ormai
vigente in tutte le altre regioni, di taglio del compenso ai
parlamentari; che dia un taglio netto agli sprechi nella formazione
professionale, negli ATO rifiuti, che elimini gli enti inutili; che
accorpi i comuni sotto 5.000 abitanti; che equipari il trattamento
dei regionali a quello dello stato e degli enti locali; che agganci
la nomina dei manager e dei dirigenti al merito, a regole certe,
superando la logica di un’anzianità di servizio maturata all’ombra
del vecchio potere.
A Bagheria serve far saltare il
coperchio della pentola: dichiarare il dissesto in modo da appurare
finalmente verità e responsabilità; approvare subito il PRG per
rimettere in moto l’economia; adottare un regolamento che tagli
drasticamente le spese di giunta e di consiglio; lavorare con
assiduità per l’avvio di un’ARO rifiuti che consenta di
privatizzare al più presto la gestione, tagliando sprechi e magagne;
usare al meglio le opportunità di sviluppo offerte dalla
costruzione del polo sanitario S. Teresa-Rizzoli.
Marzo 2013
Associazione Nuovi Bagheresi
Nessun commento:
Posta un commento